Le immagini della rivolta dei giovani ungheresi del 1956 stroncata nel sangue dai carrarmati sovietici nell'indifferenza totale delle altre nazioni, non sono tanto diverse da quelle che oggi giungono nelle nostre case dalla Birmania. In questo Paese, contro il regime militare comunista che dal 1962 detiene il potere, è iniziata una dura protesta guidata dai monaci buddisti alla quale si è unita gran parte della popolazione che sostiene il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Questa e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia avevano ottenuto l'82 per cento dei seggi alle elezioni del 1990 (392 seggi su 485), ma i generali al potere si rifiutarono di rispettare la volontà della nazione ed ancora oggi costringono la donna agli arresti domiciliari.
Le ultime immagini dei corpi straziati dei ragazzi e di molti religiosi buddisti hanno suscitato l'indignazione delle associazioni per la difesa dei diritti umani di tutto il mondo. Sotto accusa, ancora una volta, è la Cina che al Consiglio di Sicurezza dell’Onu blocca ogni tentativo di adottare una risoluzione di condanna nei confronti dei militari birmani a causa dei rapporti privilegiati legati all’interesse cinese per i giacimenti di gas e petrolio di Yangon che Pechino condivide con la Russia, altra grande insabbiatrice di qualsiasi provvedimento di denuncia.
Le nazioni civili e democratiche cosa faranno? Rimarranno anche questa volta ad osservare inerti il mostro comunista che uccide la Libertà?