NON RINNEGARE NON RINNEGARE

venerdì 28 novembre 2008

Vendola BRUCIA 6 MILIONI di EURO in una Notte

Una faraonica «notte bianca» per il più «rosso» dei governatori italiani. Oltre sei milioni di euro, più di ogni altra grande manifestazione organizzata nel Paese, per tre soli giorni di ludiche kermesse in terra di Puglia. Si tratta di quattrini dell’Unione Europea stanziati dalla Regione guidata da Nichi Vendola attraverso i fondi Por. Soldi, tantissimi soldi, destinati a rivitalizzare il turismo, che spariranno però nel giro di tre giorni, appunto, fra il 5 e il 7 dicembre. In un solo, gigantesco evento. Un’esagerazione senza precedenti, tanto che persino la Cgil definisce «ignobile» la scelta della Regione.Previsti spettacoli ed eventi di ogni genere come in tante altre città. Solo che se si fa il confronto con gli altri grandi eventi sparsi per il Paese, i conti non tornano. Perché, ad esempio, per la prima, pirotecnica, notte Bianca romana voluta da Walter Veltroni, il denaro speso è stato di tre milioni di euro. Meno della metà di quella «vendoliana», ma pur sempre troppo se paragonata a quella milanese del 2004, per la quale il Comune ha tirato fuori solo 175mila euro (il resto proveniva da altre fonti, sponsor, eccetera).Quella pugliese, ribattezzata «Night parade», sembra destinata a passare ai posteri come la più cara della storia. Più cara del Carnevale di Venezia, che costa 1 milione e 100mila euro; più cara di Umbria Jazz, per la quale non si spendono più di tre milioni e mezzo a fronte di una durata non di tre giorni bensì di quindici. Meno cara solo dell’irraggiungibile «Festival del film» di Roma, che però quest’anno con Alemanno ha avuto una riduzione del budget passando da 17,6 milioni a 15,5.L’intera somma che la Puglia ha stanziato per la Notte Bianca sarà gestita dal Teatro pubblico pugliese, che ha ottenuto l'onere e l’onore senza dover superare la difficoltà di un bando pubblico. Quasi tre milioni di euro sono destinati al pagamento degli artisti, 180mila per Baglioni e Venditti, mentre per il solo Cirque du Soleil (Lecce) saranno spesi 800mila euro. Inoltre, a parte i 400mila euro destinati agli spettacoli nei comuni «minori», saranno utilizzati 1 milione di euro per «servizi di produzione e fitti», 180mila euro per «logistica e trasferimenti», 240mila euro per la Siae, 540mila per «il coordinamento generale e organizzazione», 96mila per «spese di gestione organizzativa», 18mila di assicurazione e 600mila euro per la promozione pubblicitaria. Il presidente del Teatro pubblico, Carmelo Grassi, non nega l'enormità della spesa complessiva, ma la giustifica: «Certo, i costi sono molto elevati ma saranno comunque documentati (...). Si può non essere d'accordo, ma bisogna verificare se fosse stato possibile utilizzare quei fondi in modo diverso». A non essere per niente d'accordo è appunto la Cgil: «Il sindacato protesta per la gestione di questa vicenda che è ignobile - spiega Antonio Fuiano, coordinatore regionale della Slc-Cgil -, non siamo stati né coinvolti né informati e non c'è alcuna possibilità di controllo sulle spese». Le critiche del sindacato prendono di mira anche un altro fronte: «Solo il 20 per cento delle risorse sarà utilizzato a beneficio delle compagnie della regione, mentre il resto dei soldi finiranno fuori. E poi, in un momento in cui il Mezzogiorno fa una battaglia per qualificare la spesa pubblica, noi ci permettiamo di utilizzare così il denaro pubblico? Le cifre mi sembrano francamente eccessive, anche a fronte del pericolo che quei soldi vadano persi». C'è poi chi si chiede perché organizzare un’altra Notte Bianca in pieno inverno e per quale motivo non ci si è concentrati sugli investimenti privati, così come avvenuto altrove in occasione simili. Massimo Ostillio, assessore al Turismo, non ha invece ripensamenti: «Da uno studio in nostro possesso emerge che per ogni euro speso dalla Regione, ne torneranno sul territorio 22. La cifra è elevata, vero, ma va considerata come una cifra di massima».
di Gian Marco Chiocci - da ilGiornale.it

mercoledì 12 novembre 2008

I COSTI DELLA POLITICA: VERGOGNA!!!

Tratto da IlCorriere: Nelle bellissime agende da tavolo e agendine da tasca del Senato, appositamente disegnate per il 2009 dalla fashion house Nazareno Gabrielli, tra i 365 giorni elegantemente annotati ne manca uno. Il giorno con il promemoria: «Tagli ai costi della politica». A partire, appunto, dal costo delle agendine: 260.000 euro. Mezzo miliardo di lire. Per dei taccuini personalizzati. Più di quanto costerebbero di stipendio lordo annuo dodici poliziotti da assumere e mandare nelle aree a rischio. Il doppio, il triplo o addirittura il quadruplo di quanto riesce a stanziare mediamente per ogni ricerca sulla leucemia infantile la Città della Speranza di Padova, la struttura che opera grazie a offerte private senza il becco di un quattrino pubblico e ospita la banca dati italiana dei bambini malati di tumore. Sentiamo già la lagna: uffa, questi attacchi alle istituzioni democratiche! Imbarazza il paragone coi finanziamenti alle fondazioni senza fini di lucro? Facciamone un altro. Stando a uno studio del professor Antonio Merlo dell’Università della Pennsylvania, che ha monitorato gli stipendi dei politici americani, quelle agendine costano da sole esattamente 28.000 euro (abbondanti) più dello stipendio annuale dei governatori del Colorado, del Tennessee, dell’Arkansas e del Maine messi insieme. È vero che quei quattro sono tra i meno pagati dei pari grado, ma per guidare la California che da sola ha il settimo Pil mondia-le, lo stesso Arnold Schwarzenegger prende (e restituisce: «Sono già ricco») 162.598 euro lordi e cioè meno di un consigliere regionale abruzzese.
Sono tutti i governatori statunitensi a ricevere relativamente poco: 88.523 euro in media l’anno. Lordi. Meno della metà, stando ai dati ufficiali pubblicati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, degli emolumenti lordi d’un consigliere lombardo. Oppure, se volete, un quarto di quanto guadagna al mese il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder, che porta a casa 320.496 euro lordi l’anno. Vale a dire quasi 36.000 euro più di quanto guadagna il presidente degli Stati Uniti.(…) Se è vero che non saranno le agendine o i menu da dieci euro a portare alla rovina lo Stato italiano, è altrettanto vero però che non saranno le sforbiciatine date dopo il deflagare delle polemiche a raddrizzare i bilanci d’un sistema mostruosamente costoso. Né tanto meno a salvare la cattiva coscienza del mondo politico. Certo, l’abolizione dell’insopportabile andazzo di un tempo, quando bastava denunciare la perdita o il furto di un oggetto per avere il risarcimento («Ho perso una giacca di Caraceni». «Prego onorevole, ne compri un’altra e ci porti lo scontrino»), è un’aggiustatina meritoria. Come obbligati erano la soppressione a Palazzo Madama del privilegio del barbiere gratuito e l’avvio di un nuovo tariffario (quasi) di mercato: taglio 15 euro, taglio con shampoo 18, barba 8, frizione 6… E così la cancellazione del finanziamento di 200.000 euro per i corsi di inglese che non frequentava nessuno. E tante altre cosette ancora. Un taglietto qua, una limatina là… (…) Sul resto, però, buonanotte. L’andazzo degli ultimi venti anni è stato tale che, per forza d’inerzia, i costi hanno continuato a salire. Al punto che i tre questori Romano Comincioli (Pdl), Benedetto Adragna (Pd) e Paolo Franco (Lega Nord), nell’estate 2008, hanno ammesso una resa senza condizioni scrivendo amaramente nel bilancio: «Non è stato possibile conseguire l’obiettivo di inversione dell’andamento della spesa in proposito fissato dal documento sulle linee guida».
Risultato: le spese correnti di Palazzo Madama, nel 2008, sono salite di quasi 13 milioni rispetto al 2007 per sfondare il tetto di 570 milioni e mezzo di euro. Un’enormità: un milione e 772.000 euro a senatore. Con un aumento del 2,20 per cento. Nettamente al di sopra dell’inflazione programmata dell’ 1,7 per cento.
Colpa di certe spese non facilmente comprensibili per un cittadino comune: 19.080 euro in sei mesi per noleggiare piante ornamentali, 8.200 euro per «calze e collant di servizio» (in soli tre mesi), 56.000 per «camicie di servizio » (sei mesi), 16.200 euro per «fornitura vestiario di servizio per motociclisti ». Ma soprattutto dei nuovi vitalizi ai 57 membri non rieletti e dei 7.251.000 euro scuciti per pagare gli «assegni di solidarietà» ai senatori rimasti senza seggio. Come Clemente Mastella. Il cui «assegno di reinserimento nella vita sociale» (manco fosse un carcerato dimesso dalle patrie galere) scandalizzò anche Famiglia Cristiana che gli chiese di rinunciare a quei 307.328 euro e di darli in beneficenza. Sì, ciao: «La somma spetta per legge a tutti gli ex parlamentari». Fine.
Grazie alle vecchie regole, il «reinserimento nella vita sociale» di Armando Cossutta è costato 345.600 euro, quello di Alfredo Biondi 278.516, quello di Francesco D’Onofrio 240.100. Un pedaggio pagato, ovviamente, anche dalla Camera. Dove Angelo Sanza, per fare un esempio, ha trovato motivo di consolazione per l’addio a Montecitorio in un accredito bancario di 337.068 euro. Più una pensione mensile di 9.947 euro per dieci legislature. Pari a mezzo secolo di attività parlamentare. Teorici, si capisce: grazie alle continue elezioni anticipate, in realtà, di anni «onorevoli » ne aveva fatti quattordici di meno.
Un dono ricevuto anche da larga parte dei neo-pensionati che erano entrati in Parlamento prima della riforma del 1997 e come abbiamo visto si erano tirati dietro il privilegio di versare con modica spesa i contributi pensionistici anche degli anni saltati per l’interruzione della legislatura. Come il verde Alfonso Pecoraro Scanio, andato a riposo a 49 anni appena compiuti con gli 8.836 euro al mese che spettano a chi ha fatto 5 legislature pur essendo stato eletto solo nel 1992: 16 anni invece di 25. Oppure il democratico Rino Piscitello: 7.958 euro per quattro legislature nonostante non sia rimasto alla Camera 20 anni ma solo 14. Esattamente come il forzista Antonio Martusciello. Che però, con i suoi 46 anni, non solo ha messo a segno il record dei baby pensionati di questa tornata ma ha trovato subito una «paghetta» supplementare come presidente del consiglio di amministrazione della Mistral Air: la compagnia aerea delle Poste italiane.
C’è poi da stupirsi se, in un contesto così, le spese dei Palazzi hanno continuato a salire? Quirinale, Senato, Camera, Corte costituzionale, Cnel e Csm costavano tutti insieme nel 2001 un miliardo e 314 milioni di euro saliti in cinque anni a un miliardo e 774 milioni. Una somma mostruosa. Ma addirittura inferiore alla realtà, spiegò al primo rendiconto Tommaso Padoa-Schioppa: occorreva includere correttamente nel conto almeno altri duecento milioni di euro fino ad allora messi in carico ad altre amministrazioni dello Stato. Ed ecco che nel 2007 tutti gli organi istituzionali insieme avrebbero pesato sulle pubbliche casse per un miliardo e 945 milioni. Da aumentare nel 2008 fino a un miliardo e 998 milioni. A quel punto, ricorderete, nell’ottobre 2007 scoppiò un pandemonio: ma come, dopo tante promesse di tagli, il costo saliva di altri 53 milioni di euro, pari circa al bilancio annuale della monarchia britannica? Immediata retromarcia. Prima un ritocco al ribasso. Poi un altro. Fino a scendere a un miliardo e 955 milioni. «Solo» dieci milioncini in più rispetto al 2007. Col Quirinale che comunicava gongolante di aver tagliato, partendo dai corazzieri (lo specchietto comunemente usato per far luccicare gli occhi delle anime semplici), il 3 per mille. Certo, era pochino rispetto ai tagli del 61 per cento decisi dalla regina Elisabetta, però era già una (piccola) svolta…
Bene: non è andata così. Nell’assestamento di bilancio per il 2008 i numeri hanno continuato a salire e salire fino ad arrivare il 13 agosto a 2 miliardi e 55 milioni di euro. Cento milioni secchi più di quanto era stato annunciato in un tripudio di bandiere che sventolavano per festeggiare i «tagli». Risultato finale: l’aumento che avrebbe dovuto essere virtuosamente contenuto nello 0,5 per cento si è rivelato di almeno il 5,6: undici volte più alto.
(Brano tratto da «La Casta», nuova edizione aggiornata)
Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella

sabato 8 novembre 2008

FUORI I BARONI DALL'UNIVERSITA DI LECCE



Gli atenei vanno occupati per denunciare le clientele, le parentopoli, gli sprechi, le inefficienze, non per tutelare la casta dei baroni. Questi prof. con il megafono difendono se stessi e le loro fabbriche per….disoccupati.


Dopo il movimento contro il decreto Gelmini, il mondo universitario rimane ancora in fermento per l’annunciato disegno di legge sulla riforma dell’Università che, assicura il governo, si farà in un clima di confronto e di dialogo.
Una riforma necessaria perché il governo vuole abbattere gli enormi sprechi che caratterizzano, ormai, la vita di gran parte degli atenei italiani.
In Italia gli atenei sono 77 e si sono clonati in 360 sedi sparse fra le province decuplicando, di conseguenza, i costi.
L’università di Lecce, trasformandosi in Università del Salento, ha sedi e facoltà anche a Brindisi.
Lo stesso per l’ateneo barese che si è solidamente ramificato a Foggia e a Taranto.
Si espandono le università italiane ma, all’estero, non le conosce nessuno tanto che nelle classifiche internazionali la migliore università italiana compare intorno al duecentesimo posto. Molto più in fondo, ma proprio giù, le università di Lecce e di Bari.
Cosa fanno gli studenti leccesi (e baresi?). Anziché rivendicare una università di qualità, possibilmente con annessi servizi, si schierano dalla parte dei baroni. Prima che i preannunciati tagli incidano sui bilanci delle università, è giusto porre fine agli sprechi. Le stesse, poche, eccellenze presenti all’Università del Salento sono state, fino ad ora, mortificate non da Tremonti, ma da quella pletora di insegnamenti, spesso creati ad arte, che hanno sottratto anche finanziamenti e servizi da destinare ai più meritevoli.
Proprio in questi giorni, televisioni e giornali leccesi riportano che, a conclusione dell’indagine avviata dalla Procura di Lecce, sono 25 le persone indagate per presunti abusi e nell’occhio del ciclone è finita proprio l’Università di Lecce.
Intanto, in queste ore, la Procura della Repubblica di Lecce ha aperto un nuovo filone di indagine sui master post laurea finanziati dalla Regione Puglia. La Guardia di Finanza ha sequestrato la documentazione di duecento “contratti etici giovanili” con il sospetto di gravi irregolarità finanziarie.
Per altri fatti, l’Università di Bari, si è conquistata l’onore delle cronache. In questi giorni è stato pubblicato il libro “Università truccata” di Roberto Perotti. Un intero capitolo è dedicato all’ateneo barese per numerosi episodi di illegalità, nepotismo, corruzione, compravendita di esami. Il saggio è la fotografia impietosa di una catastrofe educativa.
Siamo d’accordo con Marcello Veneziani, occorre rovesciare il 68, per ripristinare il merito, la selezione, la responsabilità, l’efficacia nell’università.
Gli atenei vanno occupati per denunciare le clientele, le parentopoli, gli sprechi, le inefficienze, non per tutelare la casta dei baroni. Questi prof. con il megafono difendono se stessi e le loro fabbriche per….disoccupati.

Roberto Tundo

Componente della direzione nazionale di An